Contro il fiorire di nostalgie fasciste, xenofobe e razziste, che cercano di farsi largo in alcuni paesi dell’Europa Unita e per condannare in maniera assoluta l’apologia del fascismo che sta rialzando il capo sulle piazze di numerose città, Rovigo ha riproposto il processo celebrato dal Tribunale locale contro i responsabili dell’eccidio di Villamarzana del 15 ottobre 1944.
La rappresentazione, tenuta al Teatro Duomo, ha trovato interpreti di eccezione: l’avv. Gianfranco Munari, nel ruolo di Presidente della Corte, l’avv. Lorenzo Pavanello, il Pubblico Ministero, l’avv. Ezio Conchi, il difensore.
Voce narrante il prof. Giuseppe Muroni, storico. Sceneggiatura di Lorenzo Pavanello, presidente ANF Rovigo. Regia di Giuliano Scaranello e musiche d’epoca, a cura di Erasmo Bordin. L’opera è una fedele ricostruzione dei fatti sulla base della sentenza pronunciata dalla Corte Straordinaria d’Assise di Rovigo il 5 dicembre 1945. Per ricreare l’atmosfera di quei giorni terribili, Muroni
ha letto un breve riassunto della situazione politica dell’Italia in quei giorni e del clima che vi si respirava.
Il 10 luglio del 1943 le truppe alleate avevano iniziato lo sbarco in Sicilia e il 19 Roma era stata bombardata per la prima volta.L’incapacità di Mussolini di sganciarsi dalla Germania e la consapevolezza che la sua presenza ostacolava qualsiasi trattativa con gli Alleati provocò la caduta del suo governo, il 26 dello stesso mese, e, per lui, l’arresto e la prigione. Re Vittorio Emanuele III affidò la guida del paese al maresciallo Badoglio. Spiazzati dal colpo di stato i fascisti rimasero inerti e l’esercito occupò i palazzi del potere. Destituito Mussolini, Badoglio proclamò di voler continuare la guerra al fianco dei tedeschi i quali, dal canto loro, pianificavano l’occupazione della penisola. Per mantenere l’ordine, Badoglio impose la legge marziale. Gli antifascisti, usciti dal carcere o rientrati dal confino, nel frattempo, si riorganizzavano gettando le basi del Comitato di Liberazione nazionale. A sorpresa, Badoglio firmò l’armistizio con gli Alleati, diffondendo la notizia via radio la sera dell’8 settembre, quando il re, il maresciallo e gran parte dei membri del governo avevano abbandonato la Capitale per sfuggire alle ritorsioni tedesche che, in breve tempo occuparono gran parte del territorio nazionale. Senza ordini e senza direttive, l’Italia fu preda del caos mentre si delineavano due schieramenti antagonisti: i partigiani e i fascisti. La guerra civile era alle porte. In un clima di accuse di tradimenti reciproci, gli esponenti dell’antifascismo fondarono il Primo comitato di Liberazione nazionale; contemporaneamente, in diverse zone della nazione si formavano le brigate partigiane.
Mentre il professor Muroni concludeva la sua breve relazione, in teatro apparivano alcuni personaggi agitati e spauriti, costretti a prendere posto davanti al Presidente della Corte e al Pubblico Ministero. Il processo agli aguzzini nazifascisti di Villamarzana era cominciato.
Puntuale e precisa, la relazione del Pubblico Ministero ha messo in luce tutto l’orrore e la bestialità di quelle menti assassine che non trovarono pietà neppure per i ragazzi innocenti.
Questa la sequenza dei fatti: All’inizio di ottobre del 1943, l’Ufficio investigativo di Rovigo aveva infiltrato 4 spie all’interno del gruppo partigiano comandato da ‘Loris’ dall’Aglio, per stanarlo e sopprimerlo. I partigiani li scoprono e li giustiziano nei pressi di Villamarzana, dove i cadaveri vengono sepolti. La reazione dei nazifascisti è terribile: nella notte tra il 13 e 14 ottobre, raggiungono diversi Comuni della zona con sei compagnie delle Brigate nere del medio e alto Polesine, convergendo tutte verso Castelguglielmo che diviene il centro del rastrellamento. Più di 100 le persone catturate, 80 di loro sono partigiani. Dopo ore di torture alcuni confessano. Undici persone muoiono durante le sevizie. La mattina del 15 ottobre, 42 partigiani vengono condannati a morte, trasferiti a Villamarzana e rinchiusi nella ‘casetta del barbiere’ in attesa della fucilazione. Con loro anche 6 detenuti accusati di antifascismo. Quarantadue è il numero che incarna le rappresaglie: 10 X 1. Le parole ‘Primo esempio’compaiono sul muro davanti al quale avviene l’esecuzione. Poco dopo le 16, inizia l’eccidio: 7 gruppi di prigionieri, ciascuno con 6 condannati, vengono fucilati alla schiena, uno per volta. Nel plotone di esecuzione ci sono solo 28 italiani. Il massacro avviene davanti agli occhi della gente di Villamarzana mentre le madri supplicano e i frati chiedono di risparmiare la vita dei più giovani, tra loro 27 ragazzi che hanno meno di 18 anni. La carneficina termina alle 17.30 “.

“Il processo si svolge tra novembre e dicembre dello stesso anno, davanti a un solo giudice e le condanne richieste non tengono conto di alcuna attenuante. Questi i capi d’accusa contestati: uccisione anche di persone che non avevano alcuna relazione con i partigiani e molti minorenni innocenti. Gli interrogatori si sono svolti di notte e molte rappresaglie hanno colpito anche i parenti dei rastrellati. Le guardie repubblicane hanno messo in atto ogni mezzo per scovare e arrestare presunti colpevoli. Molti dei processati si erano distinti per la particolare crudeltà.
Davanti alla Corte d’Assise straordinaria di Rovigo si sono presentati 135 testimoni, parecchi dei quali parenti delle vittime. Per molti dei colpevoli venne chiesta la pena di morte per fucilazione, per altri il carcere a vita e l’interdizione dai pubblici uffici”.
Al pubblico Ministero, sul palcoscenico del Teatro Duomo, si è, quindi, sostituito l’avvocato difensore. “Per i fatti che hanno insanguinato l’Italia sottoposta al regime della Repubblica Sociale si deve tenere conto dell’impossibilità di sottrarsi a qualsiasi imposizione del fascio e del comando tedesco” – dichiara a discolpa dei condannati. ” Nel 44 per molti italiani l’amore di patria e la fedeltà al fascio erano un’unica cosa. Alcuni fascisti non presero parte nè ai rastrellamenti né alle fucilazioni, altri si trovarono sul luogo dell’eccidio per caso, quando tutto era già stato deciso. A costoro devono essere riconosciute le attenuanti generiche”.
Di rimando, il Pubblico Ministero ha ricordato, con sdegno, l’indifferenza dei condannati verso le donne che chiedevano pietà per i figli innocenti.
Ritiratasi, quindi, la Corte in Camera di Consiglio venne emesso il verdetto di colpevolezza, per omicidio continuato, per i 42 imputati, con le aggravanti della crudeltà e di altre esecuzioni perpetrate in zone contigue lungo il Canal Bianco.
Le pene inflitte, tuttavia, non vennero eseguite; nel ’46, l’amnistia voluta da Togliatti portò alla pacificazione nazionale e le responsabilità di tanto dolore rimasero impunite.
Lauretta Vignaga
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