Al Teatro Studio una performance sulla perdita di contatto tra il proprio corpo e i propri pensieri

Rovigo, Veneto – Un tema complesso e drammatico quello proposto agli spettatori del Teatro Studio lo scorso 19 dicembre. ‘As if I have missed myself’, coproduzione Italo-Danese di Bora Bora Dance Center, , è una performance ideata, scritta e interpretata dal coreografo italo – danese Fabio Liberti, in collaborazione con  Emanuele Rosa. Un lavoro fra teatro, danza e performance sul tema della ‘depersonalizzazione’, la perdita, cioè,  di  contatto tra il proprio corpo e i propri pensieri, secondo lo psicologo Ludovic Dugas che , sul tema, ha condotto un’indagine attraverso un linguaggio corporeo.
Da parte sua, Fabio Liberti aggiunge: “La pressione sociale nel dover possedere un’identità precisa e unica, con una personalità chiara e razionale, porta molte persone a sentirsi inadeguate, separate, alienate dal mondo. E quando le contraddizioni emergono, sempre più accentuate, l’individuo si ritrova in un grave disagio. L’io si stacca dentro sé stesso e l’idividuo si strappa a metà . Proprio perchè i pensieri e gli atti sfuggono al sé e diventano sconosciuti, le azioni sembrano vuote, prive di forze: si diventa spettatori esterni di sè stessi”.
La rappresentazione inizia con un ‘primo studio’ del progetto ‘Metamorfosi’, Residenza artisti nei territori, svoltasi a Rovigo verso la fine di agosto 2019, diretto e organizzato dal Teatro del Lemming.

Nella performance i due danzatori incarnano due parti della stessa persona che non sono più capaci di comunicare fra loro.

I protagonisti, Fabio Liberti ed Emanuele Rosa, entrano in relazione con il pubblico attraverso un ‘gioco’, in tre fasi, che coinvolge gli spettatori invitando il primo di una fila   a citare  il nome di una parte del proprio corpo; il secondo a pronunciare un verbo e, il terzo,  un’azione. Nel frattempo, il primo  danzatore crea una sequenza di azioni che rappresentano le tre parole e inizia toccando la parte del corpo citata. Segue a ruota il  secondo danzatore ripetendo  la sequenza nel tempo più breve possibile. Si crea, così, un processo creativo  basato sulle parole suggerite, che interrompe il percorso del pensiero; il tutto in pochi secondi.   E si continua  invitando le altre persone in sala a suggerire, una dopo l’altra,  altre  parole relative al proprio corpo, ad un verbo, ad azioni da compiere, creando sequenze riprodotte, subito dopo, dai danzatori, sempre con maggiore velocità. In piedi, piegati sulla schiena, stesi sul pavimento; aumentando la velocità e scandendo il tempo con un timer.  Dopo diverse sequenze rappresentate i movimenti dei due danzatori diventano simultanei e la sequenza di azioni viene sostenuta da un commento sonoro, trasformandosi in: parola , movimento, musica.
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 Nel secondo ‘studio’, sviluppo del ‘primo’, vengono inserite altre ‘ frasi’ e sequenze di movimenti prodotte con tutte le parti del corpo.  Fabio Liberti ed Emanuele Rosa cominciano ad eseguire le sequenze insieme; si muovono all’unisono, piegandosi, sollevandosi l’un l’altro, rotolandosi sul pavimento che, a tratti,  colpiscono con i pugni. Piegano braccia e gambe confondendo quelle dell’uno con quelle dell’altro, in modo da apparire un’unica persona. Uno dei due scuote la testa da una parte e dall’altra, quasi in preda alla pazzia, lasciandola, quindi,  ricadere sul petto. Alza una mano e  toglie dalle spalle un sacchetto con l’immagine di un viso privato di espressione, di personalità.
La depersonalizzazione si è compiuta.
Lauretta Vignaga