Rovigo, Veneto –La morte di Gabbris Ferrari, due anni fa, ha lasciato una ferita profonda nella cultura, nell’arte e nel teatro d’avanguardia rodigino ma anche Veneto. Tante le sfaccettature della sua creatività che rendevano unici spettacoli minimalisti dove due attori e un pianoforte bastavano a riempire la scena, a dare senso e vita a una storia. Numerose le iniziative ancora in progetto e le idee da abbozzare. Tanti i compagni di viaggio che continuano a sentire la sua mancanza.
  Con il sostegno del Comune, assessorato alla cultura, per iniziativa della moglie e dei collaboratori più stretti di Gabbris, è stato organizzato, martedì 28 marzo, al Ridotto del Sociale, un incontro pubblico destinato al ricordo. “Solo un primo passo – ha sottolineato l’assessore Donzelli – perché ci saranno altri spazi e  momenti per lasciare testimonianze e ricordi”.
     Al pensiero di cordoglio di Enrico Zerbinati, presidente dell’Accademia dei Concordi, è seguito l’intervento di Ivana D’Agostino, collega all’Accademia di Venezia, storica dell’ Arte e della Scenografia. Ha rievocato peculiarità e doti dello scomparso. Ha citato: mostre, allestimenti, lavori di teatro, dipinti, mostrati con proiezioni di slides,  spesso privi di  data e firma. Ha sottolineato i caratteri della pittura di Gabbris influenzata, all’inizio, dall’ambiente romano, pur con il legame, mai interrotto, con la tradizione classica. Gli studi di approfondimento di grafica e litografia messi a frutto nei bozzetti per il teatro, preludio alla acquisizione della cattedra di Scenografia a Urbino. L’ indagine sul teatro rinascimentale e le prime realizzazioni teatrali: ‘El mondo a la roversa’, preceduto da: ‘Il mondo della luna’, per il Sociale di Rovigo. “Per Gabbris la scenografia era progettazione dello spazio interpretato geometricamente, un principio che applica nella prosa del suo teatro sperimentale” – ha spiegato d’Agostino. E ha concluso citando il lavoro di scenografo per le opere liriche del Sociale di Rovigo: ‘Lucia di Lammermoor’, ‘Il ratto del Serraglio‘. ‘ L’elisir d’amore’  e altre. “In seguito,  cominciò a volgersi al ‘Teatro di figura’, il teatro delle marionette, di cui creava scene e costumi. Il mondo della commedia dell’arte era una grande attrazione, soprattutto le macchine sceniche che includevano pittura e scultura. Emblematico il carro di Dulcamara, nell’ ‘Elisir d’Amore’,  con cui vengono portati, sul palcoscenico, dei manichini. Nella scenografia del ‘Mondo della luna’ sono stati coinvolti gli allievi di Urbino e Venezia e, nel 2001, il mondo del teatro viene recuperato nella pittura. Ultimo approdo artistico: i relitti di mare, pezzi di legno recuperati sulla spiaggia e  trasformati in sculture; e le composizioni pittoriche scandite da quadrati di colori diversi”.  
     Forte e coinvolgente il discorso ‘in memoriam’ di Letizia Piva, discepola e allieva, compagna sulla scena e perfetta interprete di personaggi e azioni che  hanno  costituito il repertorio di Minimiteatri,  di cui Letizia è, ora, regista e coreografa.
        “Conoscevo  Gabbris da bambina, era amico di famiglia e spesso era a casa nostra, sempre impegnato a fare qualcosa” – ha iniziato a raccontare. ” Poi sono stata 
 
lontana per diverso tempo, ma, al mio ritorno, l’ho cercato e abbiamo cominciato a parlare di tante cose……di teatro, un teatro particolare basato sulla persona, la sua capacità di comunicare, di essere un essere umano.Attorno all’attore abbiamo tolto tutto perché ci piaceva esplorare la persona, capire cosa poteva dare. Lo abbiamo fatto con ‘Minimiteatri’, nome che rappresenta una poetica, una estetica…… Il primo lavoro è stato: ‘Cordis duo’, c’era tutto quello che volevamo dire e solo uno strumento musicale – un pianoforte – che diventa corpo e parola…..la voce che diventava musica e il pianoforte che diventava voce e poesia……c’era una donna che diventava musica e voce…… un personaggio con cui guardare nell’anima, nel cuore di una donna. Gli piacevano le donne e io mi prestavo a questo perché mi interessava quello che si faceva. Mi accennava e rappresentava quello che dovevo fare….. al pianoforte  c’era il maestro Luciano Borin e nessun’altro. Ma il piano, in qualche modo diventa persona e sotto il pianoforte avviene una violenza sessuale domestica che mi ha lasciato sconvolta e ancora oggi mi da questa sensazione “.
     Poi, Letizia Piva ha citato Eugenio  Ferdinando Palmieri e ‘L’abate degli illusi’ in cui recitava in dialetto versi che raccontavano di sogni e delusioni, di speranze impossibili. Una poetica e malinconia che Gabbris voleva mettere in scena perché rappresentavano meglio di ogni parola la povertà del Polesine che gli piaceva tanto.
        E ha messo in scena un circo povero e scalcagnato: 4 sedie e qualche proiezione ma sempre la musica del pianoforte che suonava vecchie canzoni che facevano sognare……..Poi siamo andati ai Grandi Fiumi, nelle sale del Museo, al Teatro Studio, a SanMichele, alla Pescheria…e c’era anche uno spettacolo itinerante per poche persone. In Rotonda abbiamo fatto i dialoghi presi dai Vangeli, e di nuovo ai Grandi Fiumi con Filippo Tognazzo e Thierry Parmentier e le musiche di mio padre, FrancoPiva. Tante letture sceniche ai Grandi Fiumi, per due anni, prima che succedesse l’incendio. C’era sempre il supporto di Giorgio Mazzon. E abbiamo fatto una coproduzione con il Teatro Sociale, ‘Il mondo della luna’, a cui ha fatto seguito ‘La Venexiana’ e il ‘Decameron’. ‘Arianna sulla spiaggia di Cnosso’ è stato l’ultimo spettacolo”.
Lauretta Vignaga