L’indagine di Nicola Gasparetto su uno dei maggiori critici d’arte del Novecento.

    Tra i più acuti e sottili interpreti dell’arte italiana ed europea del secolo scorso, Giuseppe Marchiori è il protagonista del saggio di approfondimento della propria tesi di laurea, compilato da Nicola Gasparetto, giovane studioso rodigino. L’opera intitolata ‘L’anonimo del Novecento’, è stata presentata in Accademia dei Concordi, lo scorso 22 giugno, con il supporto della relatrice prof. Giuliana Tomasella, docente di Museologia e Storia della critica all’Università di Padova. Un testo che ripercorre le tappe cruciali dell’impegno  di Marchiori nell’analizzare le opere d’arte non tanto per le tecniche adottare  quanto per quello che gli artisti volevano significare. Una analisi che va  dagli esordi, negli anni ’30, alla conclusione della seconda guerra mondiale. Impegno che sfociò nella consacrazione dei suoi poliedrici interessi letterari, sia in prosa che in poesia, affiancati da quello per la pittura, sancita dalla costituzione del ‘Fronte nuovo delle Arti’ (1946 – 1947). Un lavoro di ricerca intenso ed estremamente accurato, svolto da Gasparetto nei documenti d’archivio e nel carteggio epistolario conservati nella Biblioteca civica Baccari, di Lendinara, a cui furono affidati in comodato d’uso dalla famiglia Marchiori.
   La presentazione, affidata allo studioso Pier Luigi Bagatin, per molti anni direttore della Biblioteca di Lendinara, inizia  quando Giuseppe, che fin da giovanissimo si dedicava alla scrittura e alla poesia, comincia a collaborare con il ‘Corriere Padano’, dando inizio alla sua attività di critico. “Il tema è la provincia che si intreccia con l’ambiente di Venezia,
senza tralasciare le grandi capitali europee della cultura – ha sottolieanto Bagatin. “Tantissimi gli articoli che di lui sono rimasti, tra giornali, riviste, saggi critici e altro. Una miniera ricchissima a cui Nicola Gasperetto ha attinto per compilare quello che è un romanzo di formazione, pensato per un pubblico colto. Centinaia gli artisti presentati e imponente il carteggio che Marchiori ha intrattenuto con loro.  Nonostante tutto questo, finora sono state solo tre le grandi iniziative per ricordarlo: la mostra  Palazzo Roncale di Rovigo, nel 1993, seguita da una mostra a Vicenza, alla Basilica Palladiana, poco tempo dopo, e l’ultima,  a Venezia, nel 2001” – ha aggiunto “C’era, dunque, bisogno di questa ulteriore ricerca?. La risposta è sì, in quanto arriva 70 anni dopo la nascita del ‘Fronte nuovo delle arti’, ma quest’opera contiene quello che c’è stato prima ed è stato portato a maturazione” – ha concluso.
 Marchiori apparteneva ad una famuglia ricca dove arte e cultura erano di casa. Giuseppe frequentò corsi universitari ma non si preoccupò di laurearsi. Debuttò come giornalista e scrittore con ‘Il Corriere del Polesine’, aveva 22 anni e il suo stile era connotato di bellezza e maturità espositiva. Vi rimase fino al 1927. Poi passò al ‘Corriere Padano’, di Ferrara di cui rimangono ì 120 articoli pubblicati, ancora oggi piacevolissimi da leggere. Collaborò, per quasi 30 anni anche con ‘Il Gazzettino’, intrecciando importanti amicizie con autori e scrittori, libero di viaggiare, visitare, conoscere. Interessato all’arte in genere, si avvicinò anche a quella astratta.
Dal 1935 inizia a compilare un diario dove registra quello che gli passa per la testa e le impressioni che traeva visitando gli studi degli artisti. Suo scopo non era quello di giudicare gli artisti per lo stile me comprendere quello che volevano dire. La fine del Regime fascista, di cui era sostenitore, lo obbligò a cambiare pensiero e atteggiamento come denunciò nel testo ‘Esule in patria’ che dedicò a due partigiani uccisi.
 Pubblicato con il sostegno della Fondazione Banca del Monte di Rovigo, il volume è edito da Ce. Di e Apogeo editori
Lauretta Vignaga