‘Sarajevo mon amour’. Una tragica storia d’amore sullo sfondo di una guerra dimenticata 

Rovigo, Veneto –   Sul palcoscenico del Teatro Studio è andato in scena, qualche giorno fa, il primo studio di un lavoro  che riporta alla memoria anni di guerre e distruzione, ancora impresse nella memoria dei sopravvissuti. La ‘Guerra dei Balcani’ con i suoi 1425 giorni di assedio alla città di Sarajevo, tra il 1992 e il 1996, viene ripercorsa da Farmacia Zooè ( Venezia), prendendo spunto dalla tragica storia d’amore di due giovani di 24 anni: Bosko Brkìc’ e Admira Ismic,  identificati, per il contesto in cui si muovono, come ‘Giulietta e Romeo dei Balcani’.Innamorati ma appartenenti a etnie e provenienze geografiche diverse; uccisi da un cecchino mentre cercano di fuggire da Sarajevo per vivere la loro vita insieme.
   ‘Sarajevo mon amour’, il titolo dello ‘studio’, è stato realizzato dai due protagonisti della storia: Gianmarco Busetto e Carola Minincleri Colussi, durante l’estate scorsa, in un periodo di residenza al Teatro Studio di Rovigo, con il sostegno di ‘Teatro del Lemming, Rovigo, in Metamorfosi. Residenze per la  ricerca teatrale 2019. Estro teatro, Trento.
‘Sarajevo, mon amour’ costituisce un primo contatto con il pubblico per valutarne la reazione e il coinvolgimento, premessa indispensabile  per la realizzazione di un secondo studio.  L’azione si dipana tra gli anni 1992 e 1993, lungo un percorso di odio e sopraffazione contro chi è diverso per razza e appartenenza territoriale, che Farmacia Zooè ricostruisce con una serie di storie in cui ci sono uomini e donne che lottano contro la fame, la paura, la guerra, le granate;  contro una ‘Storia’ che non ha più un senso.
La dissoluzione della Jugoslavia portò  alla guerra  Bosnia ed Erzegovina, ex provincia ottomana, con popolazione serba, croata e mussulmana, etnie che miravano all’indipendenza e alla conquista del potere sulle minoranze. Nella seconda metà del 1991 i nazionalisti croati si unirono a quelli di Bosnia Erzegovina formando l’Unione Democratica croata che segnò il picco della guerra di indipendenza croata. Temendo un’escalation del conflitto, la Comunità europea organizzò una Conferenza di pace proponendo la condivisione del potere a tutti i livelli amministrativi tra le diverse etnie.  Accordo  sottoscritto nel marzo   1992 e stracciato dieci  giorni dopo dall’ambasciatore americano in Jugoslavia che dichiarò la sua opposizione a qualsiasi divisione etnica  della Bosnia.
Nel settembre 1991, il Consiglio di sicurezza dell’Onu aveva approvato l’embargo sulle armi in tutti i territori della ex Iugoslavia, embargo che colpì l’armata della Repubblica di Bosnia Erzegovina, dato che la Serbia aveva ereditato la quasi totalità dell’arsenale dell’ Armata Popolare Iugoslava e l’esercito croato contrabbandava le armi con i gruppi mafiosi attraverso la costa dalmata. Oltre la metà di arsenali e caserme si trovava in Bosnia ma gran parte di questi erano sotto il controllo serbo.
All’inizio di marzo 1992 si tenne il referendum sull’indipendenza della Bosnia Erzegovina dalla Iugoslavia. Referendum approvato con oltre il 60% dei voti ma boicottato dai serbi che  bloccarono Sarajevo con le barricate, mentre il Partito democratico serbo, guidato da Karadzic, faceva sapere che si sarebbe opposto in ogni modo all’indipendenza.

  Bosko Brkic e Admira Ismic, i protagonisti di questa vicenda, entrano in scena un paio di giorni dopo l’approvazione del Referendum.  E’ il 5 aprile e Sarajevo è in festa: la gente gira per le strade gridando ‘Pace’, ‘Pace’.   I due giovani si dirigono verso il centro ma la strada è chiusa da barricate;  si  guardano attorno e sentono degli spari; si rendono conto che  Sarajevo è sotto assedio. Il più lungo assedio nella storia delle guerre del XX secolo, conclusosi il 29 febbraio 1996.
Ritornano sui loro passi con lo strazio nel cuore, ingabbiati in una situazione da cui non si può fuggire. Per  lunghi mesi soffrono la fame, il freddo; tremano per la paura di essere separati, uccisi senza aver realizzato il sogno di vivere  la loro vita insieme.  
Nei primi mesi di assedio, sulle  colline che circondano  Sarajevo viene  radunata tutta l’artiglieria e gli equipaggiamenti essenziali e vengono  chiuse tutte le strade di accesso.  Il 2 maggio 1992  Sarajevo risulta completamente isolata dalle forze serbo bosniache. Bloccati i rifornimenti di viveri e medicinali,  l’accesso all’acqua, all’elettricità al riscaldamento. L’assalto alla città inizia con i cannoni posizionati in oltre 200 bunker ricavati nelle montagne. Dalla metà del 1992 alla prima parte del 1993 l’assedio tocca l’apice per la violenza dei combattimenti. Indescrivibili le atrocità e i crimini commessi. Gran parte delle principali posizioni militari e le riserve di armi dentro la città sono  sotto il controllo dei serbi che impediscono ai difensori di rifornirsi. Per aiutare la popolazione assediata, alla fine di giugno 1992 l’aereoporto di Sarajevo viene  aperto agli aerei delle Nazioni Unite e il tunnel di Sarajevo, principale via per aggirare l’embargo internazionale di armi e per rifornire di munizioni gli assediati, viene completato a metà del 1993, permettendo anche alla popolazione di fuggire. Si è stimato che, durante al’assedio, ci sia stata una media di circa 329 esplosioni al giorno, con un massimo di 3.777 bombe sganciate il 22 luglio 1993.  Tutti gli edifici della città vengono  danneggiati e 35.000 distrutti. Le uccisioni di massa causate dalle esplosioni degli ordigni fanno scalpore in Occidente, come il massacro dei civili al mercato. Nell’ottobre del 1995 si arriva al: ‘Cessate il fuoco’ ma Saraievo torna libera solo alla fine di febbraio 1996. Le vittime sono oltre 12.000 e più di 50.000 i feriti e la popolazione rimasta arriva al 64% di quella che c’era prima del conflitto.
Dopo mesi di privazioni, sofferenze  fisiche e il terrore di essere uccisi, il 19 maggio 1993, Bosko e Admira, nati a Sarajevo, lui serbo bosniaco  di fede cristiano ortodossa, lei bosniaca di fede mussulmana,  riescono a fuggire dalla città assediata  raggiungendo il ponte di Vrbanja. Mentre lo percorrono,vengono colpiti da un cecchino: Bosko muore subito mentre Admira, ferita gravemente, non tenta di fuggire. Abbraccia Bosko e attende la morte. I due corpi rimangono  sul selciato per cinque giorni come due tragici Romeo e Giulietta . Ritratti nell’immobilità della morte diventano il simbolo di quella guerra fratricida. La coppia, nell’aprile del 1996, viene traslata dal cimitero di Lukavica a quello del Leone, una collina fuori Sarajevo ricoperta di croci, dove ora riposano uno vicino  all’altra.
Il ponte di Vrbanja, che attraversa la Miljacka, è il ponte più triste della storia recente di Sarajevo, noto anche come ‘ponte della morte’. Nel tempo ha cambiato nome, prendendo quello delle due donne che vi persero la vita, prime vittime dell’assedio di Sarajevo. Una, studentessa di medicina all’Università; la seconda, una pacifista croata di 34 anni.

Lauretta Vignaga