Al Teatro House una performance di danza denuncia lo sfruttamento di milioni di lavoratori

 Rovigo, Veneto –  Lo scandalo scoppiato nel settore della moda, con abiti e calzature a prezzi stracciati, prodotti da milioni di lavoratori sottopagati, senza le condizioni minime di sicurezza e nesssuna dignità lavorativa, sta dilagando in molti paesi dell’Asia, Est Europa  e in diverse regioni italiane del nord e del sud. L’inganno e la truffa che si celano dietro il fascinoso mondo della moda, è stato raccontato da Simona Argentieri, autrice della coreografia : ‘Shame in Italy’ con una performance di danza contemporanea intensa e coinvolgente, che ha messo alla prova la sua resistenza fisica e  ogni tasto della sua sensibilità.
Sulla scena del ‘Tetro in bustine’, lo spazio teatrale aperto un anno fa da Romina Zangirolami, un mucchio di   vestiti di  tutti i generi, buttati alla rinfusa sul pavimento, come spazzatura, o da accarezzare e desiderare perché quella: ‘ è la moda’, il concetto a cui si conforma la vita di oggi.
Simona inizia la rappresentazione muovendosi nello spazio attorno; in mano un grembiule azzurro da lavoro. Il suono acuto di una sirena  richiama  gli operai al lavoro. Simona comincia a infilarsi il grembiule e, con passo stanco, si dirige verso un angolo e si accovaccia sul pavimento come priva di forze. Si stende in avanti, solleva il busto e alza le mani un paio di volte, quindi, strisciando, si dirige verso il mucchio di vestiti e li abbraccia, vi si infila dentro con la faccia sul pavimento.
Pochi secondi e, come presa da un raptus, comincia ad agitarsi:  si alza, torna a stendersi sul pavimento agitando tutte le parti del corpo. Respira forte e di nuovo si accascia. Adesso, dall’altoparlante dilaga una musica che martella i timpani come una mazza sull’incudine. Simona indossa la mascherina che tiene in mano e respira con affanno. Il ritmo  diventa più veloce; lei respira a scatti; allunga la mano quasi a voler raccogliere le cose dal pavimento; agita le braccia: c’è qualcosa che la  imprigiona. Si libera  di grembiule e mascherina mentre il megafono vomita indicazioni, avvertimenti, ordini per evitare incidenti, danni alle macchine e ai lavoratori. Simona afferra un indumento dal mucchio e lo avvolge alla testa; gira su sé stessa e si affloscia sul mucchio di vestiti che ha davanti. Vi si nasconde per mangiare, non vista, quanche avanzo della mensa. Si toglie le scarpe e inizia a camminare strisciando i piedi; prova a ballare sul ritmo che, adesso,  esce dall’altoparlante.  Quando la musica si interrompe, lei, esausta, si sente come liberata.
Nella mente ritorna l’immagine di una ragazza che ha lasciato il suo povero villaggio in cerca di una vita migliore. Ha trovato solo delusioni: gli orari di lavoro non sono mai quelli stabiliti; gli straordinari non si contano e non si possono evitare perchè la paga non basta per vivere. E lei vive in una stanza con altre nove compagne.
E ricorda una ragazzzina che lavorava nei campi di cotone con grande fatica, Sveniva spesso  perchè il cotone veniva innaffiato con acqua e pesticidi. Tutto si svolgeva a ritmo frenetico; mai un minuto di pausa per non essere rimproverati; non sentirsi urlare dietro.
Alla conclusione,  applausi calorosi  e convinti per Simona Argentieri e alcuni dati su cui riflettere con le persone presenti. “Perchè non recuperare i materiali usati e riciclarli invece di mettere di nuovo in circolazione ciò che è stato buttato via? E perchè non limitare la corsa sfrenata al consumismo che connota il nostro modello di vita occidentale e capitalistico?” Le sostanze tossiche impiegate per tingere i tessuti vengono assorbite dalla pelle e i danni si riscontreranno fra decenni. Le conseguenze visibili ricadranno sulle generazioni future.
Lauretta Vignaga