Il racconto per immagini di Pietro Donzelli

   Rovigo, Veneto –  Un territorio molto diverso  da quello di oggi, come è diversa la realtà sociale e umana del Polesine e del Delta del Po 70 anni dopo la rigorosa documentazione fotografica realizzata da Pietro Donzelli tra il 1953 e il 1960.  Un passato cancellato, e quasi del tutto dimenticato, che ritorna con una ricchissima raccolta di fotografie in bianco e nero intitolata ‘Terra senz’ ombra’, considerata una dei pilastri della storia della fotografia italiana e tra i primi esempi di fotografia documentaria. 
Un affresco per immagini, visibile fino al prossimo 2 luglio, a Palazzo Roverella,  che ci mostra  fatica e dolori di tempi molto difficili, segnati da alluvioni, povertà e fame; ma anche da coraggio, tenacia e la determinazione a non lasciarsi travolgere dalla disperazione di chi ha perso tutto.
 Oltre cento scatti che rappresentano otto anni di lavoro dedicati da Pietro Donzelli al Polesine e al Delta del Po: distesa di terra e acqua sullo sfondo delle quali l’uomo è presenza irrilevante pur se con quelle deve misurarsi ogni giorno per sopravvivere.  Nessuna enfasi nelle immagini, solo la realtà, sempre uguale, di pescatori e contadini, di donne vestite di nero che si dividono tra la cura della famiglia e il lavoro nei campi; di bambini seduti sui gradini di casa a inventare giochi con la fantasia.
Con l’ intervento di Roberta Valtorta, curatrice dell’esposizione,  abbiamo incontrato Donzelli mentre esplorava la nostra terra: la campagna fertile, ricca di vegetazione, la gente umile e accogliente che aveva conosciuto quando era soldato, durante la guerra. Aveva già realizzato numerosi lavori in altre regioni d’Italia ma, per il Polesine provava un’affezione particolare: aveva sofferto per la guerra e con enorme sforzo si era ripreso. Poi c’era stata l’alluvione del 1951 che aveva travolto tutto solo due anni prima.
    “Aveva in progetto di fare un grande lavoro sul Delta del Po” – ha iniziato a spiegare la curatrice. ” Sulla scia dei fotografi americani, che avevano trattato la grande crisi dell’economia americana nelle campagne, voleva rappresentare gli eventi tragici della terra bagnata dal Po. Non voleva tralasciare nulla evitando il frammento. In Polesine aveva fatto diverse mostre e, in occasione di quella allestita a Lendinara, scopre lo spirito poetico di Gino Piva e decide di abbinare brani delle poesie di Piva alle sue foto.  Dopo il 1963 Donzelli si allontana dal Polesine e anche dall’ambiente foto – amatoriale. Incontra una signora tedesca che decide di valorizzare il suo lavoro organizzando mostre. A lei il fotografo ha affidato il suo archivio che, ora, si trova in Germania” –  conclude Valtorta.
       L’esposizione inizia con foto di dimensione ridotta che mettono a confronto la vastità del paesaggio  con la dimensione dell’uomo che vi lavora. Poi il formato delle fotografie si fa più grande ed è il paesaggio a diventare protagonista. Particolarmente significative e coinvolgenti le testimonianze dei danni causati dall’alluvione, raccontati non da un reporter, ma da qualcuno che prende atto della situazione, e la descrive esattamente come si mostra.
   Ci sono le case attorniate dall’acqua, i polli annegati e ammucchiati nell’orto; le donne alla stazione in attesa del treno, sedute sulle valige di cartone. Comacchio circondata dalle paludi; le golene invase  d’acqua dopo le diverse tracimazioni; le gente che fugge con la barca e i visi rassegnati delle donne che non hanno più un tetto sotto cui stare. 
Le mondine che partono per andare a lavorare nelle risaie; la corriera che corre lungo la strada arginale; la scuola distrutta dall’alluvione e gli occhi tristi dei bambini di Boccasette. Si vedono le reti sospese sul Canalbianco, la botte che porta l’acqua potabile nelle case, il dragaggio in valle Pega e i primi segni di ripresa con le fornaci per fabbricare mattoni e i pozzi per l’estrazione del metano. Infine i negozietti degli artigiani, dal sarto al barbiere, il bar e la drogheria. Le ricorrenze religiose sono momento di festa e di allegria per tutti, l’occasione per mettere il vestito buono.
 Milanese di origine, città dove ha sempre vissuto, Pietro Donzelli inizia ad occuparsi di fotografia per motivi di lavoro. La passione per documentare la vita si manifesta nel 1946, quando l’Italia è alla ricerca di un nuovo equilibrio dopo lo sfascio della seconda guerra mondiale. Un periodo in cui la cultura fotografica italiana è divisa fra chi la considera forma d’arte e chi specchio della realtà. Per Donzelli era lo strumento per rappresentare il mondo con linguaggio semplice e diretto, ma la grandezza del suo metodo documentario lo ha reso forma d’arte.
Lauretta Vignaga