Cultura e umanità, conoscenza e creatività, sapere e poesia: questo leggevo ogni volta che prendevo in mano un suo scritto, ogni volta che lo ascoltavo raccontare, ogni volta che parlavo con lui.

E quante cose sapeva trasmettere Sergio! Non mi stancavo mai di starlo a sentire.

E a lui piaceva ridipingere gli affreschi antichi degli angoli, delle vie e delle piazze di Rovigo; gli piaceva ridipingere le storie pubbliche e segrete di questa città, le storie di questa gente, nella loro semplicità e bellezza, ma anche nella loro lontananza e alterità.

Amava il Polesine, il suo lavoro è intessuto di questa terra e questa terra rivive attraverso di esso.

Sergio capiva gli artisti. Sapeva quanta fatica c’è sul palcoscenico. Per questo amava il teatro; si lasciava emozionare nel profondo, si lasciava coinvolgere dal sudore e dall’anima di chi si esibiva, dalla voce e dalla musica, dai corpi e dai volti, dalle storie e dalle lacrime.

Nello stesso tempo, nel suo ruolo di critico, sapeva cogliere la maestria e il mestiere, sapeva collocare ogni tecnica, svelare ogni provenienza, valorizzare ogni eccellenza.

E dentro di lui niente si perdeva mai. Di frequente le impressioni riemergevano e si mescolavano all’oggi, al domani e diventavano come un caleidoscopico, spettacolare universo parallelo, traboccante di esperienza e di ricchezza nell’anima: l’anima di Sergio che si raccontava a chi sapeva ascoltare.

L’amicizia di Sergio con Gabbris era proverbiale: quante volte ho assistito a confronti e scontri culturali; quanti progetti e visioni avevano; quanti ricordi e celie condividevano; quante questioni di profonda umanità dibattevano tra loro e quant’era grande il rispetto e la passione che animava queste due grandi, grandissime personalità che abitano la mia vita e quella di ogni rodigino.

Il loro ricordo e il loro insegnamento vive in me.

Letizia