Al Museo dei Grandi Fiumi la personale del maestro

Ad aprire la retrospettiva un vaso di fiori, tracciato ad acquerello, e accompagnato da una data: 1951, l’anno dell’ alluvione del Po. Una pietra miliare per Osvaldo Forno artista. ” A quel tempo abitavo a Polesella, avevo 12 anni – racconta guidandomi nella visita alle opere collocate nelle sale. “L’alluvione costrinse tutti a lasciare il paese. Assieme a tanti altri ragazzi fui trasferito a Mirabello, vicino a Rimini, dove d’estate si andava in colonia. Nell’occasione mi fu regalata una scatola di colori ad acquerello con cui cominciai a decorare le lettere che mandavo a casa. Forse un segno del destino perché, da allora, non ho più smesso di dipingere. La vera attività di pittore, tuttavia, inizia tra il 1957/1958, mentre la scultura entra nella mia vita negli anni ’60”.
Dal 1964, alla creazione artistica si affianca l’insegnamento di disegno e storia dell’arte in diversi istituti del Polesine e, nello stesso anno, Forno realizza la prima opera su commissione: una ‘Via Crucis’ destinata all’ Istituto per malati psichiatrici cui fa seguito la serie di 8 formelle in ceramica sui miracoli della Madonna, destinata alla chiesa del Policlinico.

Passione e sensualità per la coppia clandestina abbracciata nel buio: mani e corpi che si cercano su uno sfondo chiazzato di rosso e di bruno. E ci sono esemplari di disegni a china, oli su carta e su tela di ispirazione astratta, dove la scena si materializza con porzioni di colore tracciate in alternanza. L’effetto ottenuto ricorda un tessuto a trama intrecciata a cui fitte rigature, ottenute con la coda del pennello, conferiscono aspetto tridimensionale.

Il 1968 è l’anno della ribellione, della denuncia della crudeltà e degli orrori della guerra in Vietnam; la sofferenza, le morti per lo scoppio delle bombe e la sopraffazione dell’individuo. E’ il periodo dei volti fasciati per non vedere, per non udire; delle mani e piedi feriti, dei cassetti aperti da cui spuntano abiti, scarpe e biancheria; fedi nuziali che nessuno metterà più.
Nel 1969 la ricerca formale di Osvaldo Forno si concentra sulle linee rette che si susseguono e si incrociano con parallelismo perfetto; le costruzioni materiche che si sovrappongono a suggestioni di paesaggi; il susseguirsi di fori e puntini in rilievo sulle superfici piane dove la luce esalta pieni e vuoti.

L’angoscia è il filo conduttore degli oli su tela, disegni ad acquerello e china, manufatti in terracotta dedicati ai resti umani. Misere ossa carbonizzate, disperse sotto la sabbia dei deserti, frantumate dal tempo e dimenticate.
Il periodo conclusivo, anni ’80 – 2005, riflette sulla fragilità del nostro esistere, condizionato da notizie ed eventi indipendenti dalla nostra volontà. Ecco i pacchi legati con lo spago, buste e fogli accartocciati e buttati via, le forme striscianti che incarnano le nostre incertezze. La rassegna si conclude con alcune luminose sculture in metacrilato, una coloratissima composizione a olio che combina suggestioni geometriche e gli abbozzi di due figure di amanti che guardano il tramonto. Opere a tecnica mista dove spazio e materia ritornano protagonisti.
La mostra di Osvaldo Forno rimane allestita fino al 24 gennaio con orario 16 – 19 tutti i giorni; !0 – 12.30 e 16 – 19 il sabato e la domenica.
Lauretta Vignaga
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