Al Museo dei Grandi Fiumi la personale del maestro
altra opera in mostra    Una raccolta di 65 opere, in mostra fino al prossimo 24 gennaio nelle sale espositive del Museo dei Grandi Fiumi, costituiscono la testimonianza viva di quello che Osvaldo Forno ha prodotto in oltre sessant’anni di attività artistica‘Le ‘Memorie del vissuto‘, titolo dell’esposizione, testimoniano le tappe della sua evoluzione artistica, mai uguale a se stessa, mai stanca di indagare le tensioni dello spirito, il mistero dell’uomo e il suo ruolo nell’universo. Domande a cui la ragione non trova risposte, a cui lo spirito, incalzato dalla fantasia, conferisce forme, linee e colori, ricavando immagini astratte e surreali, costruzioni geometriche, scene di pura fantasia e sculture che lasciano all’osservatore completa libertà di interpretazione.
   Ad aprire la retrospettiva un vaso di fiori, tracciato ad acquerello, e accompagnato da una data: 1951, l’anno dell’ alluvione del Po. Una  pietra miliare per Osvaldo Forno artista.  ” A quel tempo abitavo a Polesella, avevo 12 anni – racconta guidandomi nella visita alle opere collocate nelle sale. “L’alluvione costrinse tutti a lasciare il paese. Assieme a tanti altri ragazzi fui trasferito a Mirabello, vicino a Rimini, dove d’estate si andava in colonia. Nell’occasione mi fu regalata una scatola di colori ad acquerello con cui cominciai a decorare le lettere che mandavo a casa. Forse un segno del destino perché, da allora, non ho più smesso di dipingere.  La vera attività di pittore, tuttavia, inizia tra il 1957/1958, mentre la scultura entra nella mia vita negli anni ’60”.
   Dal 1964, alla creazione artistica si affianca l’insegnamento di disegno e storia dell’arte in diversi istituti del Polesine e, nello stesso anno, Forno realizza la prima opera su commissione: una ‘Via Crucis’ destinata all’ Istituto per malati psichiatrici cui fa seguito la serie di 8 formelle in ceramica sui miracoli della Madonna, destinata alla chiesa del Policlinico.
   
 ancora un'opera da vedere  Il percorso di visita inizia dalla  produzione degli anni 1960 – 1965: sculture in terracotta dedicate alla forza di un albero possente e a due nudi femminili, uno appena sbozzato, altrettanto solidi e robusti. La pittura si avvale di colori vivaci e figure enigmatiche: una ‘maternità’ su uno sfondo puntigliosamente decorato; una natività tracciata da pennellate scure; una coppia di amiche che dialogano e due figure, bianco latte, tracciate in punta di pennello, che prendono il sole sulla spiaggia.
Passione e sensualità per la coppia clandestina abbracciata nel buio: mani e corpi che si cercano su uno sfondo chiazzato di rosso e di bruno. E ci sono esemplari di disegni a china, oli su carta e su tela di ispirazione astratta, dove la scena si materializza con porzioni di colore tracciate in alternanza. L’effetto ottenuto ricorda un tessuto a trama intrecciata a cui fitte rigature, ottenute con la coda del pennello, conferiscono aspetto tridimensionale.
 quadro di Forno   Il 1965 segna l’ approdo di Osvaldo Forno al Surrealismo, alla ricerca del particolare, all’ apertura verso il rigore delle forme geometriche. L’artista indaga sulla forma e la costruzione del soggetto attraverso il colore e la sovrapposizione di linee curve e dritte. Al volte aggiungendo immagini fotografiche che raccontano la complessità dei rapporti umani. Opere che racchiudono tutte le tendenze che verranno esplorate in seguito, separatamente.
     Il 1968 è l’anno della ribellione, della denuncia della crudeltà e degli orrori della guerra in Vietnam; la sofferenza, le morti per lo scoppio delle bombe e la sopraffazione dell’individuo. E’ il periodo dei volti fasciati per non vedere, per non udire; delle mani e piedi feriti, dei cassetti aperti da cui spuntano abiti, scarpe e biancheria; fedi nuziali che nessuno metterà più. 
  
 Nel 1969 la ricerca  formale di Osvaldo Forno si concentra sulle linee rette che si susseguono e si incrociano con parallelismo perfetto;  le costruzioni materiche che si sovrappongono a suggestioni di paesaggi; il susseguirsi di fori e puntini in rilievo sulle superfici piane dove la luce esalta pieni e vuoti.
altra opera ai Grandi Fiumi    Il decennio 1970 / ’80 riporta alla ribalta la passione per la scultura: forme intagliate nel legno, modellate nel metacriato, ispirate al simbolismo cavalleresco.  E, ancora, figure di donne che emergono dalla cornice per rivelare il mistero della vita che accolgono. Acqueforti e oli su tela ispirati alla notte e alla magia del sole che sorge. Con i pennarelli sono stati tracciati i pezzi degli scacchi e una serie di figure in evoluzione dove il contorno delle prime combacia con il profilo delle altre.
 L’angoscia è il filo conduttore degli oli su tela, disegni ad acquerello e china, manufatti in terracotta dedicati ai resti umani. Misere ossa carbonizzate, disperse sotto la sabbia dei deserti, frantumate dal tempo e dimenticate.
 Il periodo conclusivo,  anni ’80 – 2005, riflette sulla fragilità del nostro esistere, condizionato da notizie ed eventi indipendenti dalla nostra volontà. Ecco i pacchi legati con lo spago, buste e fogli accartocciati e buttati via, le forme striscianti che incarnano le nostre incertezze. La rassegna si conclude con alcune luminose sculture in metacrilato, una coloratissima composizione a olio che combina suggestioni geometriche e gli abbozzi di due figure di amanti che guardano il tramonto. Opere a tecnica mista dove spazio e materia ritornano protagonisti.
    La mostra di Osvaldo Forno rimane allestita fino al 24 gennaio con orario 16 – 19 tutti i giorni; !0 – 12.30 e 16 – 19 il sabato e la domenica.
Lauretta Vignaga